Al cinema ha rubato le immagini famose per poi riprodurle ancora più ‘vere’…
Quando ci avviciniamo ad una delle opere di Lubelli, alla prima impressione, che fa scattare subito il meccanismo di riconoscimento del film e dà corso al filo delle rievocazioni, subentra un progressivo spostamento d’interesse, dai contenuti figurativi dell’immagine, che sono appunto quelli filmici, ai procedimenti formali, attraverso cui l’immagine si è costituita e che ne caratterizzano in maniera peculiare la struttura fenomenica.
Lubelli rifiuta la tecnica dello sfumato e della continuità dell’impasto cromatico, che è, invece, uno dei modi più efficaci dell’illusionismo pittorico, poiché riesce a dare insieme la sensazione della compattezza dei corpi e del loro avvolgimento atmosferico. Egli procede per successive uniformi stesure di colore, che in parte si sovrappongono l’una con l’altra e in parte sporgono, lasciandosi facilmente riconoscere dalla varietà dei loro orli. Sono proprio curve di livello, poiché ciascuna di esse segnala una superficie che, nello spazio dell’immagine, si colloca ad un diverso livello di profondità.
Ed è così che è eliminata definitivamente l’ipotesi di una pittura di ingenua vocazione realistica, sollecitata ancor più, in questa occasione, dall’incontro con il cinema, ad attuare il principio che ad ogni determinazione della forma debba corrispondere una determinazione oggettiva della cosa rappresentata.
Perché dipingere il cinema?
Qual è il significato di far ‘regredire’ l’immagine cinematografica, cioè l’immagine in movimento, alla fissità del dipinto passando attraverso l’arresto del movimento operato dalla fotografia?
Che cosa vuol dire sottrarre i fotogrammi alla sequenza grazie alla quale riproducono la realtà del movimento per consegnarli alla iperrealtà della pittura?